Sumō, tradizione e innovazione
Antico e moderno
nello sport nazionale
che i giovani giapponesi
non seguono più


Portati dall'onda mediatica, soprattutto quella inarrestabile di internet e televisione, nuovi sport si sono affermati in paesi dove prima nessun interesse era a loro dedicato. In Giappone, dove dominano baseball e golf di influenza statunitense, negli ultimi anni sia per il fenomeno Nakata Hidetoshi, il calciatore acquistato dal Perugia nel 1998 e adesso Nagatomo Yùto della F.C.Internazionale Milano, sia per la volontà di ispirarsi all'Occidente
anche nelle calde passioni agonistiche, il gioco del calcio è divenuto seguitissimo. Nel Sol Levante il calcio è diventato quasi, in accordo con la sistematicità della società giapponese che tende a trasformare tutto in regola comportamentale, una materia di studio a sé stante, quasi una disciplina di carattere culturale più che sportiva. Ma questo gioco, così veloce e agonistico, contrasta con la sottile profondità contemplativa dell'anima giapponese.
Pensiamo ora a come le discipline agonistiche d'Oriente sono praticate in Occidente. Ad esempio le "arti marziali" si sono affermate da tempo nella nostra società. L'Occidente ha sentito il bisogno di fare sue anche queste arti attribuendogli il nome di Marte, dio della guerra della civiltà classica, ed assegnandogli quindi una connotazione inesatta di discipline guerresche e violente. Ma i caratteri 空手 della parola karate significano "mano vuota", cioè "mano disarmata, senza armi". L'origine di tali tecniche sta infatti nei monasteri buddisti cinesi, dove venivano impiegate dai monaci durante le ore di preghiera e meditazione per evitare di distrarsi.
La diversità culturale è anche diversità di corpi, e come per ragioni fisiche strettamente legate alla struttura corporea gli etiopi sono pressoché imbattibili nella corsa, gli americani nel rugby, i brasiliani nel calcio, gli orientali possono essere gli unici veri fruitori del karate e delle altre discipline. Pur rimanendo i maestri giapponesi i più importanti e autorevoli, ora non c'è città o paese d'Occidente che non abbia almeno una palestra dove si possa praticare più o meno fedelmente l'arte del karate, del judo o del jujitsu.

Tuttavia se parliamo del sumo, sport di bandiera del Giappone, allora permane agli occhi occidentali uno velo di divertita curiosità per questa disciplina percepita estranea e lontana, nonostante una recente pubblicità televisiva abbia usato i tondi visi di due campioni di questa disciplina di lotta. Cattura lo sguardo la carnosa corporatura dei lottatori, opposta all'idea occidentale di atletismo basata sul culto di perfezione e bellezza dei corpi. Sulle corporature smisurate dei campioni di sumō, il sorriso mite dei visi fa assomigliare questi atleti a pingui giganti buoni più che a lottatori di ring. La loro corpulenza è frutto del sonno pomeridiano che usano fare dopo l'abbondante pasto a base di chankonabe (ちゃんこ鍋), stufato di vari tipi di carne e verdure. La vita dei giovani allievi di sumo si svolge nella comunità delle scuole, concentrate perlopiù nella parte orientale di Tokyo, all'interno delle quali i principianti, provenienti generalmente dalle scuole medie delle zone agricole del Giappone, condividono tutti i momenti della giornata. Una volta provenienti generalmente dalle scuole medie delle zone agricole del Giappone, ultimamente tanti allievi entrano nel mondo del sumo dopo il liceo o l'università. Questo nuovo fenomeno avrebbe causato l'omogeneizzazione del mondo di sumo rendendolo più “borghese” e si dice che le lotte non siano più affascinanti come una volta.

Il significato della parola sumo, scritta con i caratteri 相撲, è "pestaggio reciproco" e in effetti lo scopo del gioco è quello di trascinare l'avversario oltre il quadrato del dohyō (土俵), il ring di paglia dove si svolge la lotta, oppure di fargli toccare il terreno con una parte del corpo che non sia la pianta dei piedi. Le poche regole da seguire durante l'incontro sono rigide e improntate al profondo rispetto per l'avversario. I lottatori non possono colpire l'avversario con il pugno chiuso, non possono mettere le dita negli occhi, tirare i capelli, colpire il petto o lo stomaco, spogliare l'avversario. Sono invece ammessi schiaffi ed altri colpi dati a palmo aperto. In base ad una sorta di classifica gerarchica, i lottatori sono distinti in vari gradi di importanza. Il posto d'onore spetta allo yokozuna (横綱), il grado più alto tra i lottatori di sumō, che rappresenta il campione vincente per eccellenza; lo yokozuna non può essere retrocesso di grado ma, dopo una sconfitta, può ritirarsi deliberatamente ed iniziare l'attività di maestro di sumō. Dall’inizio dell’ Epoca Edo (1603 - 1868) ad oggi, solo sessantanove lottatori sono riusciti ad arrivare al titolo di yokozuna. L'imponenza del corpo dei giocatori più grossi può aiutare per la vittoria ma non è fondamentale, anzi in alcuni casi è l'agilità e la velocità del lottatore
più piccolo ad avere la meglio. Difatti non esiste nel sumō alcuna distinzione dei lottatori per classi di peso.                     
Negli ultimi anni il sumō, sport preferito della famiglia reale giapponese, è scarsamente seguito dai giovani nipponici che preferiscono altre forme di sport meno tradizionali, tra cui appunto il calcio. D'altra parte all'estero, soprattutto in Australia e in Usa, sta crescendo l'interesse per il sumō che da poco è stato aperto anche alle donne - lo shinsumō, il "nuovo sumo"-, mentre permane il rifiuto del Comitato Olimpico di introdurlo tra le discipline delle Olimpiadi anche se il sumo è uno degli sport più antichi rimasti pressoché invariati fino ad oggi.



Il sumō tra religione e natura


I numerosi gesti che compongono gli incontri di sumō ne sottolineano l'origine rituale. Probabilmente il sumō nacque nel V secolo come danza sacra per propiziare gli dei del raccolto. Ancora oggi il vincitore, prima di ricevere il premio sul ring a forma di tempio, con la mano fa il gesto di dividerlo in tre parti in simbolo di offerta alla triade shinto, la religione tradizionale giapponese. Altri gesti, come lo spargere sale sul terreno, bere acqua per purificarsi o gettare al pubblico fagioli, sono retaggio di antiche procedure cerimoniali.
Come narra il Nihon Shoki (日本書紀, completato nel 720) il creatore del sumō è il leggendario Nomi no Sukune (野見 宿禰) che durante il regno dell'Imperatore Suinin (29 aC - 70 dC) sconfisse nella lotta Taima no Kehaya. Nomi no Sukune è il kami protettore del sumō e dei suoi lottatori.
Numerosi infine sono i richiami alla natura, dalla acconciatura dei capelli dei lottatori che richiama le foglie di ginco, ai quattro fiocchi colorati agli angoli del ring, simbolo delle stagioni, agli stessi nomi degli atleti, indicati con elementi naturali come montagna, fiume o mare.

Floriano Terrano