battito di passione
Voce, musica, danza, teatro
nell’Impulso coreano e il mondo unito
Se qualcuno ancora si trova in testa l’idea di cultura coreana come sinonimo di civiltà calma, tutta meditazione e occhi socchiusi in contemplazione, il Paese del Calmo Mattino insomma, forse non ha ancora visto lo spettacolo l’ Impulso coreano e il mondo unito (Korean Pulse and the One World) del Gruppo artistico tradizionale coreano della regione Jollabukdo.
Il gruppo, che da anni porta nel mondo l’arte tradizionale dello spettacolo coreano, è diretto da Jong Wan Im e proviene dalla regione Jollabukdo nel Sud-Ovest della penisola, uno dei territori del paese che ha conservato di più le proprie radici culturali. Lo spettacolo è composto di sette parti, un vero e profondo viaggio in tutti gli stili artistici della Corea.
La prima parte, "Fiori d’inverno", è la danza del ventaglio buchaechum (부채춤) che ricorre anche in Cina. Mentre però nella danza cinese il ventaglio è la rappresentazione soprattutto del rapporto amoroso tra uomo e donna, simboleggiando passione o distacco a seconda che sia aperto o chiuso, in Corea il ventaglio bianco è la neve che cade con grazia o violenza, creando bellissimi fiori di neve. I fiori bianchi che le ballerine formano componendo e scomponendo i loro ventagli ricordano che anche in pieno inverno si può vedere la bellezza della natura e aspettare che i fiori, quelli colorati e veri, tornino in primavera dopo il gelo.
La seconda parte "Samdo Suljanggo" è interamente dedicata alle percussioni di fuoco dei tamburi a doppio timpano changgu (장구) molto simili agli tsuzumi (鼓) giapponesi ma più grandi. Quattro musicisti che seguono uno il ritmo dell’altro e ci portano sulle onde ripide del battito di questi tamburi dal suono dolce che entra nel cuore e non ne esce più. E’ sulla cresta di una di queste
onde picchianti che inizia a svelarsi la passione profonda che agita l’anima del popolo coreano, proprio come la corrente del mare che avvolge la penisola.
La terza parte è il salpuri (살풀이) la danza a solo che nasce in Corea. E’ questa la parte forse più sublime di tutto lo spettacolo. La bravissima Jung Kun Mun, nel tradizionale abito velato di bianco, ci fa vedere tutta la maestria del movimento studiato fin nel minimo gesto. Ogni passo, ogni sguardo ha dentro una energia infinita che viene contenuta e pressata nello spazio del palcoscenico. Il movimento, che ricorda quello degli attori dell’Opera di Pechino e del teatro nō e del kabuki giapponese, ha il suo fulcro nel piede che scivola leggero a terra, si ferma e avanza con energia calcolata e calibrata alla minima movenza, perfino delle dita e delle ciglia.
L’ipchechang (입체창), spettacolo di attori accompagnati da percussionisti, è una riduzione dello Chunhyangjeon (춘향전, 春香傳), famosa storia d’amore a lieto fine tra Chunhyang e Mongryong. Chunhyang, oggetto del desiderio del prefetto della sua città, è condannata a morte da quest’ultimo per non essersi arresa alle sue voglie. Wolmae, la madre della ragazza, piange senza speranza fino a quando Mongryong torna per salvare la sua amata Chunhyang. Dal tragico nasce la gioia e poi il comico: il dialogo tra Wolmae e Mongryong è divertentissimo e l’ironia della scena è data dal contrasto tra la situazione tragica e il comportamento dei personaggi. Nella scena può leggersi anche una vena di spirito popolare che attraversa tanta parte dello spettacolo coreano. Il gesto della madre che s’asciuga naso e lacrime sulla manica dell’hanbok di
Mongryong e quest’ultimo che divora in un attimo la cena preparatale da Wolmae danno vita a momenti di comicità irresistibile e le risate in sala sono davvero incontenibili. Aldilà della patina di umorismo della messa in scena, l’ipchechang è un’allegoria profonda della vita umana, con i suoi momenti di disperazione e di gioia, con le lacrime e le risate, la speranza che non deve mai svanire.
La quinta parte è "Notte di luna", un vero spettacolo nello spettacolo, diviso in tre parti: "Una donna abbraccia la luna", "Una canzone d’amore" e Ganggangswolrae. La scenografia, ideata da Jung Soo Kim, è semplice e delicata. La luna piena pallida che compare a sinistra in fondo è la vera protagonista di queste danze che richiamano l’unione forte tra il mondo femminile della Corea e la Luna. Danza collettiva nella quale ogni donna ha la Luna come segreta confidente. Confidente delle gioie, della malinconia, dell’amore, della solitudine. E il pubblico, soprattutto le donne, si unisce alla preghiera e alle danze che, come una ninna nanna per la Luna, formano sul palco delle figure rotonde, lunari.
Il sinawi (시나위) è rappresentato dalla “Canzone del pescatore” dal Shimchungjeon, concerto di strumenti tradizionali coreani, come il kayagŭm (가야금) strumento a 12 corde di seta che deriva dal guzheng (古箏) cinese, in Giappone conosciuto come koto (箏), il taegŭm (대금) flauto traverso di bambù, il nabal (나발) molto simile al cinese suona (嗩吶) tromba metallica a lungo fusto che emette un suono a nota unica, normalmente usato nei ritmi della musica militare daechwita (대취타). Se anche
qui si sente forte il richiamo ai modelli musicali cinesi, tipicamente coreana è la vena popolare e festosa che attraversa tutta la composizione, dando vita a momenti musicali molto vivaci.
Infine, nel pungmul (풍물), unione di origine popolare di danza, canto e percussioni, vediamo venir fuori tutta la passione e la gioiosità del popolo coreano. Un’esplosiva banda di ballerine, musicisti e percussionisti che s’incendiano in una danza tempestosa di colori e acrobazie in una sorta di celebrazione sfrenata della vitalità e della natura. I lunghissimi nastri dei copricapo dei danzatori, che richiamano le penne dei costumi dell’Opera di Pechino, riempiono il cielo del teatro di vortici da vertigine e noi, da spettatori divenuti attori di questo ballo impazzito, li seguiamo e speriamo che il ritmo continui e non finisca.
Il gruppo, che da anni porta nel mondo l’arte tradizionale dello spettacolo coreano, è diretto da Jong Wan Im e proviene dalla regione Jollabukdo nel Sud-Ovest della penisola, uno dei territori del paese che ha conservato di più le proprie radici culturali. Lo spettacolo è composto di sette parti, un vero e profondo viaggio in tutti gli stili artistici della Corea.
La prima parte, "Fiori d’inverno", è la danza del ventaglio buchaechum (부채춤) che ricorre anche in Cina. Mentre però nella danza cinese il ventaglio è la rappresentazione soprattutto del rapporto amoroso tra uomo e donna, simboleggiando passione o distacco a seconda che sia aperto o chiuso, in Corea il ventaglio bianco è la neve che cade con grazia o violenza, creando bellissimi fiori di neve. I fiori bianchi che le ballerine formano componendo e scomponendo i loro ventagli ricordano che anche in pieno inverno si può vedere la bellezza della natura e aspettare che i fiori, quelli colorati e veri, tornino in primavera dopo il gelo.
La seconda parte "Samdo Suljanggo" è interamente dedicata alle percussioni di fuoco dei tamburi a doppio timpano changgu (장구) molto simili agli tsuzumi (鼓) giapponesi ma più grandi. Quattro musicisti che seguono uno il ritmo dell’altro e ci portano sulle onde ripide del battito di questi tamburi dal suono dolce che entra nel cuore e non ne esce più. E’ sulla cresta di una di queste
onde picchianti che inizia a svelarsi la passione profonda che agita l’anima del popolo coreano, proprio come la corrente del mare che avvolge la penisola.
La terza parte è il salpuri (살풀이) la danza a solo che nasce in Corea. E’ questa la parte forse più sublime di tutto lo spettacolo. La bravissima Jung Kun Mun, nel tradizionale abito velato di bianco, ci fa vedere tutta la maestria del movimento studiato fin nel minimo gesto. Ogni passo, ogni sguardo ha dentro una energia infinita che viene contenuta e pressata nello spazio del palcoscenico. Il movimento, che ricorda quello degli attori dell’Opera di Pechino e del teatro nō e del kabuki giapponese, ha il suo fulcro nel piede che scivola leggero a terra, si ferma e avanza con energia calcolata e calibrata alla minima movenza, perfino delle dita e delle ciglia.
L’ipchechang (입체창), spettacolo di attori accompagnati da percussionisti, è una riduzione dello Chunhyangjeon (춘향전, 春香傳), famosa storia d’amore a lieto fine tra Chunhyang e Mongryong. Chunhyang, oggetto del desiderio del prefetto della sua città, è condannata a morte da quest’ultimo per non essersi arresa alle sue voglie. Wolmae, la madre della ragazza, piange senza speranza fino a quando Mongryong torna per salvare la sua amata Chunhyang. Dal tragico nasce la gioia e poi il comico: il dialogo tra Wolmae e Mongryong è divertentissimo e l’ironia della scena è data dal contrasto tra la situazione tragica e il comportamento dei personaggi. Nella scena può leggersi anche una vena di spirito popolare che attraversa tanta parte dello spettacolo coreano. Il gesto della madre che s’asciuga naso e lacrime sulla manica dell’hanbok di
Mongryong e quest’ultimo che divora in un attimo la cena preparatale da Wolmae danno vita a momenti di comicità irresistibile e le risate in sala sono davvero incontenibili. Aldilà della patina di umorismo della messa in scena, l’ipchechang è un’allegoria profonda della vita umana, con i suoi momenti di disperazione e di gioia, con le lacrime e le risate, la speranza che non deve mai svanire.
La quinta parte è "Notte di luna", un vero spettacolo nello spettacolo, diviso in tre parti: "Una donna abbraccia la luna", "Una canzone d’amore" e Ganggangswolrae. La scenografia, ideata da Jung Soo Kim, è semplice e delicata. La luna piena pallida che compare a sinistra in fondo è la vera protagonista di queste danze che richiamano l’unione forte tra il mondo femminile della Corea e la Luna. Danza collettiva nella quale ogni donna ha la Luna come segreta confidente. Confidente delle gioie, della malinconia, dell’amore, della solitudine. E il pubblico, soprattutto le donne, si unisce alla preghiera e alle danze che, come una ninna nanna per la Luna, formano sul palco delle figure rotonde, lunari.
Il sinawi (시나위) è rappresentato dalla “Canzone del pescatore” dal Shimchungjeon, concerto di strumenti tradizionali coreani, come il kayagŭm (가야금) strumento a 12 corde di seta che deriva dal guzheng (古箏) cinese, in Giappone conosciuto come koto (箏), il taegŭm (대금) flauto traverso di bambù, il nabal (나발) molto simile al cinese suona (嗩吶) tromba metallica a lungo fusto che emette un suono a nota unica, normalmente usato nei ritmi della musica militare daechwita (대취타). Se anche
qui si sente forte il richiamo ai modelli musicali cinesi, tipicamente coreana è la vena popolare e festosa che attraversa tutta la composizione, dando vita a momenti musicali molto vivaci.
Infine, nel pungmul (풍물), unione di origine popolare di danza, canto e percussioni, vediamo venir fuori tutta la passione e la gioiosità del popolo coreano. Un’esplosiva banda di ballerine, musicisti e percussionisti che s’incendiano in una danza tempestosa di colori e acrobazie in una sorta di celebrazione sfrenata della vitalità e della natura. I lunghissimi nastri dei copricapo dei danzatori, che richiamano le penne dei costumi dell’Opera di Pechino, riempiono il cielo del teatro di vortici da vertigine e noi, da spettatori divenuti attori di questo ballo impazzito, li seguiamo e speriamo che il ritmo continui e non finisca.
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