La preziosa arte orientale
che gli Occidentali
scoprirono tardi
La ceramica della Corea
Come nell’architettura e nella pittura, anche nella ceramica gli artisti coreani modificarono gli influssi stranieri di provenienza soprattutto cinese e li rielaborarono dando vita ad una produzione d’arte che influenzò a sua volta la creazione di ceramica e porcellana di altri popoli dell’Estremo Oriente, dei Giapponesi in particolare. La storia della ceramica della Corea è anche la storia della nazione coreana, con i suoi momenti di splendore e rigoglio culturale, con le sue crisi, le guerre, le invasioni straniere, soprattutto da parte del Giappone.
Se già alla cultura neolitica di Tongsam-dong (5000 a.C.) risalgono le prime attestazioni della produzione di terracotta in Corea, la ceramica d’arte coreana nasce dopo l’occupazione della parte settentrionale della penisola nel V secolo da parte dei Koguryo, una popolazione nomade proveniente dall’attuale Manciuria meridionale nella Cina del Nord. La cultura dei Koguryo, alleati della dinastia cinese dei Wei settentrionali (439-534), era profondamente cinesizzata e i loro artigiani producevano delle ceramiche che si avvicinavano, nella forma e nei modelli, a quelle prodotte in Cina. Anche nella parte meridionale della Corea, divisa tra i regni di Paekche a est e di Silla a ovest, si andava sviluppando una autonoma - pur sotto l’influenza stilistica cinese - produzione ceramica di grande pregio. Nel regno di Silla si ebbe l’invenzione del forno scavato sul fianco di una collina che cambiò radicalmente cottura e stile della ceramica, sia in Corea che in Giappone. I Giapponesi infatti importarono già nel V secolo questo nuovo tipo di fornace coreana che chiamarono anagama (穴窯) “forno a fossa”. La fornace a fossa permetteva di raggiungere temperature molto più alte nella cottura dei pezzi e dava origine alla caduta sulla superficie ceramica delle ceneri vegetali di combustione che producevano effetti particolari di gocciolatura e colore sulla invetriatura.
Con la dinastia Koryo (918-1392) la ceramica coreana arrivò al suo momento di splendore e sviluppo più intenso. In questo periodo, tra XI e XII secolo, iniziò ad essere prodotta l’ invetriatura di colore verde-bluastro che, scoperta in Cina ed importata in Corea da una ambasceria cinese, era chiamata cheongja (청자) o pisaek (비색, “blu martin pescatore”), termine derivato dalla tradizione poetica cinese; i Francesi chiamarono questa invetriatura celadon. Un meraviglioso vaso lobato in pisaek, conservato al National Museum of Korea di Seoul, risalente all’inizio del XII secolo, descrive bene la raffinatezza e la maestria degli artisti coreani di questo periodo, che seppero modificare con il proprio gusto i modelli della coeva produzione cinese della dinastia Song (960-1269).
A questi anni risalgono le prime testimonianze di vasi di forma maebyong (매병) che prendevano a modello le ceramiche cinesi meiping (梅瓶, “vaso per ramo di susino”). La forma vaso dalla base ristretta, spalla ampia e bocca piccola prende ispirazione dai contorni delle giovani dame. L'ideale di bellezza femminile cinese già dall'epoca Tang (618-907) è infatti quello di una donna dalle forme abbondanti e dalla bocca piccola. Questi vasi erano usati per il vino di riso o ginseng e il loro nome deriva dal fatto che nella loro bocca può entrare solo un ramo di susino. Quando vuoti, erano usati anche come vasi di fiori. In realtà sembra che il nome meiping fu usato solo nel XVIII secolo quando gli esemplari di vasi di questo tipo avevano tutti perso il coperchio in forma di tazza di cui erano dotati. Un bellissimo esempio di vaso maebyong della seconda metà del XII secolo, nel museo di Seoul, presenta una decorazione ad intarsio che rappresenta una scena di gru e uccelli tra piante di bambù. Il tocco è leggerissimo e la scena è soffusa di una delicata atmosfera che l’artista riesce a rendere con l’osservazione acuta e partecipata della natura. Come in tutta l’arte dell’Estremo Oriente, anche in Corea il soggetto principale è la natura, soprattutto piante ed animali. Ma nella ceramica coreana la natura non solo ispira le immagini dipinte sulle superfici dei vasi, ma perfino le forme plasmate dagli artisti. Un bruciaincenso dalla invetriatura pisaek della prima metà del XII secolo presenta la parte superiore a forma di leone; il fumo dell’ incenso bruciato si incanala nel corpo del leone ed esce dalla sua bocca semiaperta. Con questo bruciaincenso l’artista coreano ha creato una ceramica “vivente” che riprende con un linguaggio più vicino alla natura il modello cinese del ding bronzeo (鼎). Ma è la brocca a forma di germoglio di bambù del museo di Seoul (metà XII sec.) che ci dà la prova più evidente dell’adesione profonda della ceramica coreana al modello offerto dalla natura. Il corpo della brocca è esso stesso il germoglio di bambù che rappresenta, quasi una metamorfosi per cui l’elemento rappresentato (il germoglio) viene trasformato nel supporto (la brocca) o viceversa.
Nei primi anni della dinastia Yi (1392-1910) i ceramisti coreani rielaborarono i modelli importati dalla Cina Ming (1368-1644) e iniziarono a diffondersi i primi esemplari di ceramiche bianco-e-blu, derivate dalle cinesi qinghua (青花, "fiori blu"), che avrebbero trovato un terreno molto fertile in Corea fino al XVIII secolo inoltrato. La ceramica bianco-e-blu coreana influenzò profondamente la produzione della porcellana giapponese; le prime porcellane che si produssero in Giappone ad Arita nel Kyushu erano decorate in bianco-e-blu e si basavano su repertori iconografici della vicina Corea. I maestri del tè giapponesi della tarda era Muromachi (1392-1568), usavano esclusivamente tazze da tè prodotte in Corea che, per la loro invetriatura dalle tante screpolature ed imperfezioni dovute alla bassa temperatura di cottura delle fornaci coreane, erano preferite a quelle giapponesi. Una famosa tazza di XVI secolo conservata nel Museo Nazionale di Tokyo ma proveniente dalla Corea appartenne, come vuole la tradizione, al maestro del tè giapponese Oda Uraku (1547–1621), fratello di Oda Nobunaga e allievo del famoso maestro del tè Sen no Rikyū (千利休, 1522-1591). La ceramica veniva talvolta influenzata dall’acquarello o dalla pittura ad inchiostro, come nel caso della giara di XVI secolo decorata con rami di bambù e di susino che furono tracciati dalla mano esperta di un pittore professionista.
L’epoca d’oro della ceramica della Corea stava però per terminare; la sua sorte seguì quella del Regno di Corea. Nel 1592 e nel 1598 i Giapponesi tentarono di invadere la Corea. La spedizione nipponica fallì per la dura resistenza della popolazione locale, ma i Giapponesi conobbero la ceramica coreana e se ne innamorarono profondamente. Questa guerra è chiamata infatti “Guerra dei vasi”. L’esercito giapponese distrusse la maggior parte delle fornaci coreane e deportò molti ceramisti in Giappone. Si dice che il primo artista a produrre porcellana bianco-e-blu in Giappone fosse il coreano Shinkai Soden tra XVI e XVII secolo; coreano sarebbe anche Yi Sam-pyeong (이삼평, 1579 - 1655) chiamato anche Kanagae Sanbee (金ヶ江三兵衛), scopritore della più antica cava giapponese di caolino, l’elemento primario della porcellana. Leggenda o realtà di questi personaggi, il Giappone è comunque debitore dell’arte ceramica alla Corea. Quando le porcellane giapponesi iniziarono nel XVII secolo ad invadere l’Europa, nessuno nel vecchio mondo conosceva la ceramica coreana. Solo all’inizio dello scorso secolo gli occidentali impararono a conoscere e apprezzare il profondo valore artistico della ceramica della Corea. Ma forse l’avevano già apprezzato senza saperlo nella porcellana giapponese che arrivava nelle case e nei musei delle case europee.
Se già alla cultura neolitica di Tongsam-dong (5000 a.C.) risalgono le prime attestazioni della produzione di terracotta in Corea, la ceramica d’arte coreana nasce dopo l’occupazione della parte settentrionale della penisola nel V secolo da parte dei Koguryo, una popolazione nomade proveniente dall’attuale Manciuria meridionale nella Cina del Nord. La cultura dei Koguryo, alleati della dinastia cinese dei Wei settentrionali (439-534), era profondamente cinesizzata e i loro artigiani producevano delle ceramiche che si avvicinavano, nella forma e nei modelli, a quelle prodotte in Cina. Anche nella parte meridionale della Corea, divisa tra i regni di Paekche a est e di Silla a ovest, si andava sviluppando una autonoma - pur sotto l’influenza stilistica cinese - produzione ceramica di grande pregio. Nel regno di Silla si ebbe l’invenzione del forno scavato sul fianco di una collina che cambiò radicalmente cottura e stile della ceramica, sia in Corea che in Giappone. I Giapponesi infatti importarono già nel V secolo questo nuovo tipo di fornace coreana che chiamarono anagama (穴窯) “forno a fossa”. La fornace a fossa permetteva di raggiungere temperature molto più alte nella cottura dei pezzi e dava origine alla caduta sulla superficie ceramica delle ceneri vegetali di combustione che producevano effetti particolari di gocciolatura e colore sulla invetriatura.
Con la dinastia Koryo (918-1392) la ceramica coreana arrivò al suo momento di splendore e sviluppo più intenso. In questo periodo, tra XI e XII secolo, iniziò ad essere prodotta l’ invetriatura di colore verde-bluastro che, scoperta in Cina ed importata in Corea da una ambasceria cinese, era chiamata cheongja (청자) o pisaek (비색, “blu martin pescatore”), termine derivato dalla tradizione poetica cinese; i Francesi chiamarono questa invetriatura celadon. Un meraviglioso vaso lobato in pisaek, conservato al National Museum of Korea di Seoul, risalente all’inizio del XII secolo, descrive bene la raffinatezza e la maestria degli artisti coreani di questo periodo, che seppero modificare con il proprio gusto i modelli della coeva produzione cinese della dinastia Song (960-1269).
A questi anni risalgono le prime testimonianze di vasi di forma maebyong (매병) che prendevano a modello le ceramiche cinesi meiping (梅瓶, “vaso per ramo di susino”). La forma vaso dalla base ristretta, spalla ampia e bocca piccola prende ispirazione dai contorni delle giovani dame. L'ideale di bellezza femminile cinese già dall'epoca Tang (618-907) è infatti quello di una donna dalle forme abbondanti e dalla bocca piccola. Questi vasi erano usati per il vino di riso o ginseng e il loro nome deriva dal fatto che nella loro bocca può entrare solo un ramo di susino. Quando vuoti, erano usati anche come vasi di fiori. In realtà sembra che il nome meiping fu usato solo nel XVIII secolo quando gli esemplari di vasi di questo tipo avevano tutti perso il coperchio in forma di tazza di cui erano dotati. Un bellissimo esempio di vaso maebyong della seconda metà del XII secolo, nel museo di Seoul, presenta una decorazione ad intarsio che rappresenta una scena di gru e uccelli tra piante di bambù. Il tocco è leggerissimo e la scena è soffusa di una delicata atmosfera che l’artista riesce a rendere con l’osservazione acuta e partecipata della natura. Come in tutta l’arte dell’Estremo Oriente, anche in Corea il soggetto principale è la natura, soprattutto piante ed animali. Ma nella ceramica coreana la natura non solo ispira le immagini dipinte sulle superfici dei vasi, ma perfino le forme plasmate dagli artisti. Un bruciaincenso dalla invetriatura pisaek della prima metà del XII secolo presenta la parte superiore a forma di leone; il fumo dell’ incenso bruciato si incanala nel corpo del leone ed esce dalla sua bocca semiaperta. Con questo bruciaincenso l’artista coreano ha creato una ceramica “vivente” che riprende con un linguaggio più vicino alla natura il modello cinese del ding bronzeo (鼎). Ma è la brocca a forma di germoglio di bambù del museo di Seoul (metà XII sec.) che ci dà la prova più evidente dell’adesione profonda della ceramica coreana al modello offerto dalla natura. Il corpo della brocca è esso stesso il germoglio di bambù che rappresenta, quasi una metamorfosi per cui l’elemento rappresentato (il germoglio) viene trasformato nel supporto (la brocca) o viceversa.
Nei primi anni della dinastia Yi (1392-1910) i ceramisti coreani rielaborarono i modelli importati dalla Cina Ming (1368-1644) e iniziarono a diffondersi i primi esemplari di ceramiche bianco-e-blu, derivate dalle cinesi qinghua (青花, "fiori blu"), che avrebbero trovato un terreno molto fertile in Corea fino al XVIII secolo inoltrato. La ceramica bianco-e-blu coreana influenzò profondamente la produzione della porcellana giapponese; le prime porcellane che si produssero in Giappone ad Arita nel Kyushu erano decorate in bianco-e-blu e si basavano su repertori iconografici della vicina Corea. I maestri del tè giapponesi della tarda era Muromachi (1392-1568), usavano esclusivamente tazze da tè prodotte in Corea che, per la loro invetriatura dalle tante screpolature ed imperfezioni dovute alla bassa temperatura di cottura delle fornaci coreane, erano preferite a quelle giapponesi. Una famosa tazza di XVI secolo conservata nel Museo Nazionale di Tokyo ma proveniente dalla Corea appartenne, come vuole la tradizione, al maestro del tè giapponese Oda Uraku (1547–1621), fratello di Oda Nobunaga e allievo del famoso maestro del tè Sen no Rikyū (千利休, 1522-1591). La ceramica veniva talvolta influenzata dall’acquarello o dalla pittura ad inchiostro, come nel caso della giara di XVI secolo decorata con rami di bambù e di susino che furono tracciati dalla mano esperta di un pittore professionista.
L’epoca d’oro della ceramica della Corea stava però per terminare; la sua sorte seguì quella del Regno di Corea. Nel 1592 e nel 1598 i Giapponesi tentarono di invadere la Corea. La spedizione nipponica fallì per la dura resistenza della popolazione locale, ma i Giapponesi conobbero la ceramica coreana e se ne innamorarono profondamente. Questa guerra è chiamata infatti “Guerra dei vasi”. L’esercito giapponese distrusse la maggior parte delle fornaci coreane e deportò molti ceramisti in Giappone. Si dice che il primo artista a produrre porcellana bianco-e-blu in Giappone fosse il coreano Shinkai Soden tra XVI e XVII secolo; coreano sarebbe anche Yi Sam-pyeong (이삼평, 1579 - 1655) chiamato anche Kanagae Sanbee (金ヶ江三兵衛), scopritore della più antica cava giapponese di caolino, l’elemento primario della porcellana. Leggenda o realtà di questi personaggi, il Giappone è comunque debitore dell’arte ceramica alla Corea. Quando le porcellane giapponesi iniziarono nel XVII secolo ad invadere l’Europa, nessuno nel vecchio mondo conosceva la ceramica coreana. Solo all’inizio dello scorso secolo gli occidentali impararono a conoscere e apprezzare il profondo valore artistico della ceramica della Corea. Ma forse l’avevano già apprezzato senza saperlo nella porcellana giapponese che arrivava nelle case e nei musei delle case europee.
Floriano Terrano
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