I vividi colori del sogno notturno

Le maschere
nella tradizione coreana



Le maschere nascono dai sogni degli uomini. Anzi dai loro incubi. La maschera è molto più dell’immagine grottesca e caricaturale di un viso, è il riflesso delle paure e delle angosce che sono

sommerse nell’animo umano. Gli incubi si sognano di notte e forse proprio per questo in Corea in passato le danze con la maschera (, tal) si svolgevano durante la notte alla luce di fuochi. Spesso, dopo lo spettacolo, le maschere venivano bruciate come rito di purificazione; il teatro coreano delle origini, infatti, era di frequente accostato all’esorcismo e allo sciamanesimo.
Le prime forme di danze mascherate risalgono all’età più remota della storia coreana, prima dell’epoca del Silla Unificato (668-935). Già nell’epoca dei Tre Regni (57 aC - 668 dC) si sviluppa la Hyangak (향악, 鄕樂, ”musica del villaggio”), rappresentazione che unisce diversi tipi di teatro della Cina e dell’Asia centrale. Anche il re Sejong il Grande (세종대왕, 世宗大王, 1418-1450) compose un hyangak di corte chiamato Yeominrak (여민락, 與民樂). Durante la dinastia Silla fu introdotta la Cheoyongmu (처용무, 處容舞), danza che rappresentava alcuni episodi della vita di Cheoyeong (처용, 處容), il figlio del Re Drago del Mare Orientale. Sempre in questo periodo, sotto l’influenza della Danza del Leone cinese (舞獅), nacque la Sanye (사자춤, 獅子춤), una forma di spettacolo i cui partecipanti indossavano maschere di leone. Pur se ancora non del tutto sviluppate, le danze mascherate della Corea presentano già in questi anni i caratteri e i temi principali che le contraddistingueranno: astio e violenta presa in giro nei confronti della classe aristocratica e dei monaci buddisti e il triangolo amoroso formato da marito, moglie e concubina. La finalità dello spettacolo di danza mascherata è quello di mettere in scena i vizi nell’intento di diffondere la moralità.
E’ nell’epoca Koryo (918–1392), circa nel XII secolo, che nasce il talnori (탈놀이) lo spettacolo delle

maschere coreane che è arrivato fino a noi. La leggenda narra che nel villaggio di Hahoe (안동하회마을), nel nord della Corea, viveva un uomo cui le divinità ordinarono di modellare 12 maschere; nessuno però avrebbe dovuto guardarlo mentre le fabbricava. L’uomo si chiuse quindi in casa e iniziò il suo lavoro. Ma un giorno una donna, invaghitasi di lui, lo spiò attraverso una fessura nel muro della sua casa e scoprì le maschere. L’uomo fu punito con la morte e non riuscì a completare il mento dell’ultima maschera, quella di Imae (이매), il servo folle, che infatti è l’unica maschera ad essere priva della parte inferiore del viso. Ad Hahoe, a sottolineare il legame della città con l’arte scenica della danza, è sorto il più importante museo coreano di maschere tradizionali, l’Hahoe Mask Museum (www.maskmuseum.com).
Le maschere coreane colpiscono per il loro espressionismo esagerato, quasi esasperato, e per i loro colori brillanti. I colori così intensi erano necessari per far notare le maschere e i personaggi nella luce fioca dei fuochi durante gli spettacoli notturni. Ad ogni colore è associato un personaggio. In nero, colore legato al Nord e al freddo invernale, è dipinta la maschera che rappresenta il vecchio. Il rosso, colore del Sud e dell’estate, è associato al viso del giovane. Una scena frequente nelle danze popolari è la vittoria del giovane sul vecchio, a simboleggiare il ritorno della primavera e della bella stagione dopo il freddo inverno. Il colore della donna giovane, che veniva interpretata da attori specializzati in parti femminili come avviene negli altri teatri d’Oriente, è normalmente il bianco. I personaggi più importanti delle maschere coreane sono: Yangban (양반), l’aristocratico, Sonbi (선비), lo studente pedante, Bune (부네), la bella concubina giovane e provocante, Kaksi (각시), la sposa, Chorangi (초랭이), il ficcanaso, Halmi (할미), la vecchia vedova, Chung (), il monaco depravato, Paekjong (백정), il macellaio volgare, oltre ad Imae, il servo pazzo.

La matrice popolare della danza delle maschere coreane può leggersi nella satira violenta nei confronti degli aristocratici, dei monaci buddisti e talvolta anche degli sciamani. In particolare gli aristocratici sono rappresentati con maschere deformi e grottesche, dai tratti asimmetrici e ridicoli. Il rancore delle classi più povere della società coreana veniva allo scoperto nella rappresentazione deturpata e irrisoria delle odiate classi sociali più alte. Grande in effetti era la partecipazione del pubblico, che attorniava gli attori da ogni parte e veniva quasi a far parte esso stesso dello spettacolo. La vena popolare intensa e vitale delle maschere coreane ne sottolinea il carattere originale rispetto ad esempio a quelle del giapponese teatro noh (), nelle cui rappresentazioni il pubblico, appartenente alle classi agiate, è invece distante dagli attori. Oltre ai visi umani, le maschere coreane rappresentano anche divinità e animali sia reali che immaginari.
I talchum 
(탈춤), le danze mascherate della Corea sviluppatesi sotto la dinastia Choson (1392–1910), erano accompagnate da musicisti che impiegano strumenti a percussione e a fiato. Non c’era un vero e proprio copione scritto – i talchum erano inizialmente basati sulla tradizione orale – ma era l’arte dell’improvvisazione degli attori a guidare lo spettacolo, che in effetti aveva una durata non prestabilita. Oggi uno spettacolo di danza di maschere dura normalmente una o due ore, mentre un tempo aveva una durata variabile dalle tre-quattro ore fino a tutta la notte. Dipendeva dalla capacità degli attori legare a sé il proprio pubblico, divertirlo, emozionarlo, commuoverlo. Non solo con le parole, ma soprattutto con i gesti: gli attori mascherati affidavano alla mimica del corpo il loro linguaggio. Nell’epoca Choson i talchum erano messi in scena in occasioni particolari, durante le notti di luna piena, nel giorno del compleanno del Buddha, per il festival Tano, nel quinto giorno del quinto mese lunare,

per il Chuseok (추석), la festa del raccolto che si celebra nel quindicesimo giorno dell’ottavo mese lunare.
Talvolta fungevano da rito propiziatorio per la pioggia durante i periodi di siccità.
Ancora oggi, nella Corea sempre più moderna e tecnologica, le danze mascherate sono un evento seguito dall’interesse del pubblico, che però non vive lo spettacolo come in passato, ma lo guarda come un superstite messaggio di un linguaggio che non capisce più. Oggi non ci sono nobili da prendere in giro, non ci sono spiriti da temere e scacciare, perfino le concubine bellissime sono sparite. E le maschere stanno davvero diventando mute.

(www.tal.or.kr and www.maskmuseum.com)

Floriano Terrano

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