Indovini, leggende e spiriti
Seollal, il capodanno in Corea
Say hay boke-mahn he pah du say oh, “Prego ricevi tanti auguri per il nuovo anno”, questa è in Corea la formula antica per gli auguri del capodanno seollal (설날). Poco conosciuta è l’origine della parola Seol, che può legarsi al significato di “fare attenzione”; tuttavia è possibile che derivi dall’espressione nat seol da nell’accezione di “sconosciuto” anche se potrebbe significare pure “tristezza”.
In Oriente è la luna e non il sole a stabilire la fine dell’anno e l’inizio di quello nuovo. Così è in Cina, Mongolia, Corea e Vietnam. Così era anche in Giappone, prima che nel 1873 l’occidentalizzazione di epoca Meiji decretasse il cambiamento e l’adeguamento del capodanno al 1 gennaio secondo il calendario solare gregoriano. Il “capodanno cinese” del calendario lunare cade nel giorno della seconda luna nuova dopo il solstizio d’ inverno del 21 dicembre. Il prossimo capodanno sarà il 7 febbraio 2008, anno del topo.
La preparazione al capodanno è in Corea, come altrove in Oriente, un vero e proprio rito. Così, anno dopo anno, si ripetono tradizioni antichissime che cambiano di poco soltanto. In Corea l’ultimo giorno dell’anno inizia la mattina presto. Si pulisce la casa intera perché mai fortuna e felicità entrerebbero in una casa sporca e impolverata. Si accendono tutte le luci in tutte le stanze fino all’alba del primo giorno dell’anno. Nessuno deve dormire a capodanno e gli auguri di mezzanotte non possono farsi nel buio. Una antica tradizione vuole che, se qualcuno si addormenta in questa notte, il mattino dopo si sveglierà con gli occhi bianchi. Nell’ultimo giorno dell’anno nelle case c’è l’andirivieni delle donne impegnate a preparare i cibi per capodanno come il ttokuk e garettok, carne fritta, che, oltre che sulla tavola, si offrono anche ai familiari defunti ponendoli sull’altare domestico. Così nel capodanno si rinnova il rapporto costante tra vivi e morti comune a tutte le religioni d’Oriente, nel buddismo, nel confucianesimo, nel taoismo come nello scintoismo. Il capodanno è un rito di passaggio; in questo giorno si brucia il bambù secco perché i sonori scoppi provocati dall’aria dello stelo poroso allontanano spaventandoli gli spiriti maligni. Da questa usanza è nata la tradizione dei botti di capodanno, molto sentita in Cina.
Ai bambini che non vogliono dormire nella notte del seollal si racconta che il Yakwanggy (약왕기), spirito portafortuna e dispettoso, visiti tutte le case. Se sulla sua strada trova delle scarpe che possono andare bene ai suoi piedi, le ruba e va via portando con sé anche la fortuna. Per non farlo scappare, allora, bisogna spegnere le luci, nascondere bene tutte le scarpe, magari in soffitta, e appendere un colabrodo sulla terrazza o nello sgabuzzino. Il Yakwanggy, vedendo i buchi del colabrodo crederà che siano occhi e inizierà a contarli perdendo sempre il conto. E contando contando arriverà l’alba e tornerà nel suo mondo.
Ed eccoci alla mattina del Seol, il primo giorno del nuovo anno. Il vestito tradizionale da indossare in questo giorno è il solbim, un tipo speciale di hanbok molto colorato. I più anziani della famiglia sono i primi a ricevere gli auguri per l’anno nuovo. La bevanda alcolica augurale del seol è il gui balki sool; si dice che faccia bene all’udito e la tradizione vuole che, bevendone a capodanno, si senta forte e chiaro per tutto l’anno. E l’udito un tempo doveva essere importante soprattutto nella prima alba dell’anno, quando nelle strade ancora assonnate passava il venditore del bok jo ri, il “colino che porta auguri”. Lavare il riso con il nuovo colino che lo separa dalle piccole pietre e dalle sue impurità aveva un valore simbolico apportatore di fortuna e felicità. Come per il riso pulito e filtrato, l’augurio era che separate dall’anno nuovo restassero anche le vecchie angosce e tristezze dell’anno passato. Prima di tutto c’è l’offerta del cibo e del vino di riso agli antenati; precise regole sono seguite nella posizione dei cibi sul tavolo di fronte all’altare, così come i nomi dei defunti sul chi bang, striscia di carta verticale, sono scritti a partire dai trisavoli, a sinistra gli uomini e a destra le donne. Tra le offerte, il cibo che in vita il defunto ha amato di più è quello che sull’altare non manca mai.
Nel giorno del seol la tavola è ricca di ogni alimento, dalla carne al pesce, dalle verdure ai dolci. Così il primo giorno dell’anno scorre tra cibo e giochi, soprattutto lo yut (윷), antico di quasi duemila anni, che all’inizio era forse un rito per prevedere come sarebbe andato il raccolto. In questo gioco, infatti, le combinazioni dei quattro bastoncini di legno che si usano prendono il nome di alcuni animali, maiale (do), cane (gae), pecora (geol), mucca (yut) e cavallo (mo), che richiamano il mondo rurale ma anche i segni dello zodiaco cinese. La forma quadrata del bordo dello yut-pan, il tessuto che forma il tavolo dove si gioca allo yut, rappresenta infatti la terra e i cerchi al suo interno simbolizzano il cielo al centro del quale c’è la cometa e attorno le stelle.
Ma capodanno è soprattutto il giorno della curiosità di scoprire come sarà il nuovo anno. Diffusissimo era ed è anche ora il ricorso a maghi ed indovini che predicono il futuro basandosi sul Tojong Bigyel, il libro scritto in epoca Chosun da Tojong Lee Ji Ham (1517 – 1578), eccentrico mago che fu cacciato da tutte le sette confuciane. Gli indovini, un tempo tutti ciechi poiché era l’unico lavoro ad essi concesso, si trovano ancora oggi tra le strade di Corea, a Seoul nel distretto nordorientale di Miari, anche se sta prendendo piede soprattutto tra i giovani l’uso di indovini elettronici partoriti dai computer. Ma se la voce degli indovini di strada non può vedere il futuro, anche i microcheap non aiutano a leggere come sarà la nostra vita l’anno prossimo. Perché se le epoche cambiano, le speranze per il nuovo anno sono le stesse di sempre. Questo è il significato del simbolo del capodanno: un giorno come un altro, eppure tanto diverso. Un giorno in cui le speranze si fanno più profonde e le distanze, forse, più vicine.
E allora say hay boke-mahn he pah du say oh, tanti auguri per il nuovo anno!
In Oriente è la luna e non il sole a stabilire la fine dell’anno e l’inizio di quello nuovo. Così è in Cina, Mongolia, Corea e Vietnam. Così era anche in Giappone, prima che nel 1873 l’occidentalizzazione di epoca Meiji decretasse il cambiamento e l’adeguamento del capodanno al 1 gennaio secondo il calendario solare gregoriano. Il “capodanno cinese” del calendario lunare cade nel giorno della seconda luna nuova dopo il solstizio d’ inverno del 21 dicembre. Il prossimo capodanno sarà il 7 febbraio 2008, anno del topo.
La preparazione al capodanno è in Corea, come altrove in Oriente, un vero e proprio rito. Così, anno dopo anno, si ripetono tradizioni antichissime che cambiano di poco soltanto. In Corea l’ultimo giorno dell’anno inizia la mattina presto. Si pulisce la casa intera perché mai fortuna e felicità entrerebbero in una casa sporca e impolverata. Si accendono tutte le luci in tutte le stanze fino all’alba del primo giorno dell’anno. Nessuno deve dormire a capodanno e gli auguri di mezzanotte non possono farsi nel buio. Una antica tradizione vuole che, se qualcuno si addormenta in questa notte, il mattino dopo si sveglierà con gli occhi bianchi. Nell’ultimo giorno dell’anno nelle case c’è l’andirivieni delle donne impegnate a preparare i cibi per capodanno come il ttokuk e garettok, carne fritta, che, oltre che sulla tavola, si offrono anche ai familiari defunti ponendoli sull’altare domestico. Così nel capodanno si rinnova il rapporto costante tra vivi e morti comune a tutte le religioni d’Oriente, nel buddismo, nel confucianesimo, nel taoismo come nello scintoismo. Il capodanno è un rito di passaggio; in questo giorno si brucia il bambù secco perché i sonori scoppi provocati dall’aria dello stelo poroso allontanano spaventandoli gli spiriti maligni. Da questa usanza è nata la tradizione dei botti di capodanno, molto sentita in Cina.
Ai bambini che non vogliono dormire nella notte del seollal si racconta che il Yakwanggy (약왕기), spirito portafortuna e dispettoso, visiti tutte le case. Se sulla sua strada trova delle scarpe che possono andare bene ai suoi piedi, le ruba e va via portando con sé anche la fortuna. Per non farlo scappare, allora, bisogna spegnere le luci, nascondere bene tutte le scarpe, magari in soffitta, e appendere un colabrodo sulla terrazza o nello sgabuzzino. Il Yakwanggy, vedendo i buchi del colabrodo crederà che siano occhi e inizierà a contarli perdendo sempre il conto. E contando contando arriverà l’alba e tornerà nel suo mondo.
Ed eccoci alla mattina del Seol, il primo giorno del nuovo anno. Il vestito tradizionale da indossare in questo giorno è il solbim, un tipo speciale di hanbok molto colorato. I più anziani della famiglia sono i primi a ricevere gli auguri per l’anno nuovo. La bevanda alcolica augurale del seol è il gui balki sool; si dice che faccia bene all’udito e la tradizione vuole che, bevendone a capodanno, si senta forte e chiaro per tutto l’anno. E l’udito un tempo doveva essere importante soprattutto nella prima alba dell’anno, quando nelle strade ancora assonnate passava il venditore del bok jo ri, il “colino che porta auguri”. Lavare il riso con il nuovo colino che lo separa dalle piccole pietre e dalle sue impurità aveva un valore simbolico apportatore di fortuna e felicità. Come per il riso pulito e filtrato, l’augurio era che separate dall’anno nuovo restassero anche le vecchie angosce e tristezze dell’anno passato. Prima di tutto c’è l’offerta del cibo e del vino di riso agli antenati; precise regole sono seguite nella posizione dei cibi sul tavolo di fronte all’altare, così come i nomi dei defunti sul chi bang, striscia di carta verticale, sono scritti a partire dai trisavoli, a sinistra gli uomini e a destra le donne. Tra le offerte, il cibo che in vita il defunto ha amato di più è quello che sull’altare non manca mai.
Nel giorno del seol la tavola è ricca di ogni alimento, dalla carne al pesce, dalle verdure ai dolci. Così il primo giorno dell’anno scorre tra cibo e giochi, soprattutto lo yut (윷), antico di quasi duemila anni, che all’inizio era forse un rito per prevedere come sarebbe andato il raccolto. In questo gioco, infatti, le combinazioni dei quattro bastoncini di legno che si usano prendono il nome di alcuni animali, maiale (do), cane (gae), pecora (geol), mucca (yut) e cavallo (mo), che richiamano il mondo rurale ma anche i segni dello zodiaco cinese. La forma quadrata del bordo dello yut-pan, il tessuto che forma il tavolo dove si gioca allo yut, rappresenta infatti la terra e i cerchi al suo interno simbolizzano il cielo al centro del quale c’è la cometa e attorno le stelle.
Ma capodanno è soprattutto il giorno della curiosità di scoprire come sarà il nuovo anno. Diffusissimo era ed è anche ora il ricorso a maghi ed indovini che predicono il futuro basandosi sul Tojong Bigyel, il libro scritto in epoca Chosun da Tojong Lee Ji Ham (1517 – 1578), eccentrico mago che fu cacciato da tutte le sette confuciane. Gli indovini, un tempo tutti ciechi poiché era l’unico lavoro ad essi concesso, si trovano ancora oggi tra le strade di Corea, a Seoul nel distretto nordorientale di Miari, anche se sta prendendo piede soprattutto tra i giovani l’uso di indovini elettronici partoriti dai computer. Ma se la voce degli indovini di strada non può vedere il futuro, anche i microcheap non aiutano a leggere come sarà la nostra vita l’anno prossimo. Perché se le epoche cambiano, le speranze per il nuovo anno sono le stesse di sempre. Questo è il significato del simbolo del capodanno: un giorno come un altro, eppure tanto diverso. Un giorno in cui le speranze si fanno più profonde e le distanze, forse, più vicine.
E allora say hay boke-mahn he pah du say oh, tanti auguri per il nuovo anno!
Floriano Terrano
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