Roma, al Museo del Corso
Capolavori dalla Città Proibita

Alla corte dei Qing

Un viaggio lungo novemila stanze

A Roma è possibile vedere la mostra Capolavori dalla Città Proibita. Qianlong e la sua corte al Museo del Corso. Tra pitture, ceramiche, abiti, armature e oggetti della corte, la mostra fa viaggiare nelle atmosfere delle infinite stanze e padiglioni della Città Proibita di Pechino alla metà dell’epoca Qing (1644-1911), soprattutto nel periodo dell’imperatore mancese Qianlong (1736-1796).Anche se il periodo d’oro della pittura in Cina era finito con l’epoca Song (960-1279), sotto l’imperatore Qianlong, grande amante dell’arte e della letteratura, poeta, calligrafo e pittore egli stesso, fioriscono alcuni artisti che si legano più o meno strettamente alla corte. Su commissione imperiale fu eseguito da Xu Yang e aiuti tra il 1764 e il 1770 il grande rotolo orizzontale di seta che rappresenta il primo viaggio ufficiale di Qianlong a Suzhou nel 1751. La città è dipinta con il consueto stile classico della prospettiva “a volo d’uccello” e le strade, i canali e i giardini della famosa città cinese sono animati dalle figure degli abitanti e del seguito imperiale; sullo sfondo, appena toccati dalla nebbia, le montagne e i boschi richiamano la pittura in stile meridionale dell’epoca Song.
Nella pittura di soggetto privato più che in quella ufficiale troviamo l’anima più vera della vita di corte. Il rotolo verticale di seta dipinto da Jin Tingbiao nella seconda metà del XVIII secolo ci fa entrare in una delle stanze della corte e ci fa “spiare” una cortigiana dalla pelle d’avorio che mette dei fiori tra i suoi capelli mentre nel silenzio e nella penombra della sua camera una domestica riordina i volumi sugli scaffali e in fondo si apre un cortile con un boschetto di bambù. Due rotoli verticali, simili per soggetto ma diversi per epoca, ci offrono lo sguardo sul rito del tè in due scene all’aperto. Il primo rotolo, di seta dipinta a colore e inchiostro è anonimo e risale alla fine dell’epoca Ming (1368-1644) e rappresenta un
letterato che sotto i bambù e un banano in fiore prepara il tè; nel secondo, colore ed inchiostro su carta della metà del XVIII secolo ad opera di Niu Shu, un letterato beve una tazza di tè sotto degli alti cipressi. La cultura del tè, antichissima in Cina, si diffuse in tutto l’Estremo Oriente e il Sud-Est asiatico grazie soprattutto ai monaci buddisti.
L’imperatore Qianlong è ritratto nel pannello di seta dipinto a colori ed inchiostro di autore ignoto che è chiamato E’ uno o due?. Nella scena l’imperatore, un rotolo nella mano sinistra, guarda un servo che gli versa del tè nella tazza. Dietro di lui un pannello con un susino in fiore e un rotolo che lo ritrae nelle stesse vesti che indossa, tanto da sembrare uno specchio più che una pittura. Un trompe l’eau che pone le due immagini dell’imperatore, quella vera e quella ritratta, nel segno della fede buddhista, che aveva nella irrisolta ambivalenza tra realtà e apparenza uno dei suoi cardini di pensiero. Come in un gioco di scatole cinesi, il dipinto dell’imperatore ritrae un’ altra pittura raffigurante l’immagine di Qianlong.
Degli innumerevoli oggetti e arredamenti che facevano parte delle novemila sale della Città Proibita, la sala della mostra con la ricostruzione di una delle camere del trono presenta il trono in legno laccato ed intagliato con motivi di draghi, simbolo dell’imperatore, dietro al quale il grande
paravento aveva la funzione di riparare l’imperatore sia dalla corrente d’aria dietro la schiena sia, simbolicamente, dagli influssi maligni provenienti dal nord. Il nord era infatti la direzione del male, da quella parte infatti era arrivavata l’invasione mongola. Tra le suppellettili della corte, spiccano le porcellane del 1733 circa in figura di crisantemo, fiore dell’autunno e dell’immortalità, che per i colori vivaci e per le forme sembrano opere di un designer contemporaneo.
L’arte della corte di Qianlong, sia che si tratti dell’opera di veri e propri maestri che di abili artigiani, è un trionfo di decorazione e fasto che ancora oggi, a distanza di secoli, sorprende e meraviglia chi la guarda. Prendendo spunto dai capolavori del passato, gli artisti di questa epoca seppero creare un loro stile dato non tanto dall’unione degli stili artistici della Cina delle ere precedenti ma dalla rielaborazione originale e moderna di alcuni temi classici apprezzati anche dalla corte mancese Qing.

Floriano Terrano

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